Titolo: Il racconto dell’ancella
Autore: Margaret Atwood
Prima edizione: 1985
Lingua originale: Inglese
Genere: Distopico
Casa editrice: Ponte delle Grazie
Pagine: 400
ISBN 978-88-6833-742-1
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Ora Rachele vide che non poteva partorire figli a Giacobbe, perciò Rachele divenne gelosa di sua sorella e disse a Giacobbe: «Dammi dei figli, altrimenti muoio». Giacobbe si adirò contro Rachele e rispose: «Tengo io forse il posto di Dio che ti ha negato il frutto del grembo?». Allora ella disse: «Ecco la mia serva Bilha. Entra da lei e lei partorirà sulle mie ginocchia; così anch’io potrò avere figli per suo mezzo».
Margaret Atwood ha pubblicato Il racconto dell’ancella nel 1985, ma in questi ultimi due anni è tornato ad avere grande successo, tanto da diventare, nel 2017, una serie televisiva seguita da un folto pubblico. In Italia, sulla scia del successo ottenuto dalla serie, il romanzo è stato ripubblicato dalla casa editrice Ponte delle grazie, in diverse ristampe.
Secondo la stessa autrice, non è un caso che il suo romanzo abbia riscosso tanto successo proprio in concomitanza del primo mandato del presidente americano Trump, dal momento che alcuni dei tratti dell’universo immaginario da lei creato sembrano essersi manifestati nel mondo reale: Le libertà civili fondamentali sembrano in pericolo così come molti diritti delle donne, conquistati nei passati decenni, per non dire secoli passati (Per leggere il saggio completo segui il link: Margaret Atwood on What ‘The Handmaid’s Tale’ Means in the Age of Trump).
Esiste più di un genere di libertà, diceva Zia Lydia. La libertà di e la libertà da. Nei tempi dell’anarchia c’era la libertà di. Adesso vi viene data la libertà da. Non sottovalutatelo.
Il racconto dell’ancella è un romanzo distopico, ambientato presumibilmente alla fine di un XX secolo in cui gli Stati Uniti sono dominati da un regime teocratico, instauratosi in seguito ad un colpo di stato. Nella neonata repubblica di Galaad, imperniata su tradizioni puritane, simbolismo biblico e sorveglianza di stato, le donne sono totalmente sottomesse all’uomo: non possono lavorare o avere un conto in banca, non possono leggere, non possono discutere liberamente tra loro, non possono scegliere come vestirsi e non sono quasi mai lasciate sole. Insomma non possono pensare, né avere un’identità.
In questo nuovo mondo, devastato dall’inquinamento e dalle scorie radioattive, poche sono però le donne ancora fertili e in grado di avere figli sani. Queste donne sono chiamate “ancelle” e hanno un unico compito: dare una discendenza alla classe dirigente, ai cosiddetti “comandanti”.
Non siamo concubine, siamo uteri con due gambe.
La protagonista è appunto un’ancella. Non conosciamo il suo vero nome, sappiamo solo che ora si chiama Difred, perché lei è “di Fred”, appartiene al suo comandante, vive nella sua casa insieme a sua moglie e spera di potergli dare presto un figlio.
L’universo distopico viene descritto unicamente attraverso gli occhi della protagonista, che ci racconta il vuoto e la monotonia delle sue giornate e, di volta in volta, ci fornisce delle informazioni, dei particolari della realtà in cui vive, offrendoci degli scorci, di modo che il lettore si costruisca gradualmente un quadro di questo nuovo mondo, un quadro che, soprattutto all’inizio, resta frammentario.
Altrettanto frammentaria è la ricostruzione del passato di Difred. La protagonista fa riaffiorare i ricordi della sua vita di prima, senza però raccontarceli in maniera esaustiva, senza seguire un ordine cronologico, ma di volta in volta, specialmente durante le lunghe ore trascorse nella solitudine della sua stanza, riportando alla luce le sue memorie più vivide. Anche in questo caso sta a noi lettori mettere insieme i pezzi.
L’ancella non appartiene a questo nuovo mondo, ha vissuto nel mondo “prima” ed è consapevole di ciò che ha perso, quindi non può fare a meno di abbandonarsi al ricordo di quando era ancora una donna libera e padrona della sua vita. Tuttavia l’atteggiamento della protagonista non è quello di una ribelle.
Difred subisce passivamente tutto quanto le viene imposto dal sistema, non prova a forzare i limiti e le regole a cui deve sottostare. Ci si aspetta che ad un certo punto della vicenda la donna reagisca, o prenda iniziativa, che imprima una svolta alla sua storia, invece no. Se il flusso della sua esistenza subisce un cambiamento, è grazie ai personaggi che le gravitano intorno.
È difficile simpatizzare per un personaggio del genere, infatti è decisamente più semplice identificarsi in personaggi che prendono in mano le redini della propria esistenza, forti dei valori in cui credono. Ma d’altro canto l’atteggiamento dell’ancella ci spinge a chiederci come ci comporteremmo al suo posto: come reagiremmo se fossimo parte di un regime che non ammette alcuna forma di dissenso, che fa il lavaggio del cervello e che punisce con la morte chi viola le regole?
Vivevamo di abitudini. Come tutti, la più parte del tempo. Qualsiasi cosa accade rientra sempre nelle abitudini. Anche questo, ora, è un vivere di abitudini. Vivevamo, come al solito, ignorando. Ignorare non è come non sapere, ti ci devi mettere di buona volontà.
Ora qualche osservazione circa il genere a cui si fa appartenere questo romanzo. Molti hanno criticato Il racconto dell’ancella definendolo un romanzo “distopico ma non troppo”, questo perché mancherebbe una descrizione completa e precisa del mondo e del regime in cui la protagonista vive. In effetti leggendo il romanzo sono molti gli elementi che restano appena accennati, che ci si aspetta vengano chiariti, ma che effettivamente vengono lasciati in sospeso. Non si giunge mai ad una visione completa ed esaustiva delle istituzioni e delle leggi che regolano Galaad, perché, come ho detto in precedenza, la narratrice ci fornisce solo degli scorci, nulla di più.
Tuttavia, nonostante condivida queste osservazioni, non posso fare a meno di trovare questa critica insensata. Innanzitutto i generi letterari sono “etichette” create a posteriori dai critici per classificare (sempre a posteriori) i romanzi che leggiamo. Quindi criticare Il racconto dell’ancella perché “non è un vero distopico” è sciocco, un romanzo non è più o meno riuscito nella misura in cui rispetta una serie di regole o rispecchia l’idea che abbiamo di un determinato genere, anzi, molti dei romanzi che hanno fatto la storia sono quelli che non si sono lasciati definire da una sola delle nostre “etichette”. Quindi chi pensa che questo romanzo non sia distopico, lo etichetti pure in un altro modo.
Per quanto riguarda il fatto che, effettivamente, non si arriva mai ad avere una descrizione precisa dell’universo in cui si muove la protagonista, non ritengo si tratti di un difetto. È normale che un lettore appassionato e curioso voglia trovare risposta a tutte le sue domande e cerchi, alla fine della storia, una quadratura del cerchio. Tuttavia ritengo che questa indeterminatezza si addica perfettamente a quello che è il punto di vista della narratrice.
Dal momento che il romanzo è narrato in prima persona è normale che il punto di vista sia parziale, a maggior ragione se la narratrice è una donna che si aggira in una società maschilista e totalitaria che vieta alle donne di leggere, scrivere, conversare tra loro, farsi domande e cercare risposte.
È come se il lettore osservasse l’universo che circonda l’ancella da sotto il suo copricapo bianco, con le alette ai lati degli occhi, che limitano lo sguardo restringendo il campo visivo. Quindi se da un lato questa caratteristica ad una prima lettura può sembrare un difetto agli occhi dei lettori, secondo me, ad una lettura più attenta, non lo è affatto.
Che dire quindi? Il racconto dell’ancella per me è un romanzo davvero bello ed è impressionante che la Atwood non abbia dovuto inventarsi nulla per dare forma a questo “futuro” immaginario, anzi, le è bastato attingere al passato. Un romanzo che tutti dovremmo leggere, per ricordarci quanta strada abbiamo fatto per riuscire ad arrivare qui oggi, per poter avere la libertà di decidere cosa fare della nostra vita. Consigliato!