Titolo: Le ripetizioni
Autore: Giulio Mozzi
Prima edizione: 2021
Lingua originale: Italiano
Casa editrice: Marsilio
Pagine: 358
ISBN: 978882970887
Prezzo: 17,00
Valutazione: 2,5/5
Buongiorno lettori! Seconda tappa della maratona di lettura a tema Premio Strega Completata! Oggi parliamo de Le ripetizioni di Giulio Mozzi, edito Marsilio.
Giulio Mozzi esordisce nel 1993 come autore di racconti, successivamente si è distinto come talent scout e ha collaborato con diverse case editrici importanti, come Einaudi e Marsilio.
Le ripetizioni è il suo romanzo d’esordio, ma è chiaro che abbiamo a che fare con una scrittura già matura e ben delineata. Le ripetizioni è stato scritto nell’arco di 23 anni: le prime pagine risalgono al 1998, l’autore è poi tornato su quelle pagine a più riprese nel corso del tempo, finché ha deciso di completare e dare alle stampe il romanzo l’anno scorso, in piena pandemia.
Tutto il libro ruota attorno al personaggio di Mario, un uomo di circa quarant’anni, che ha lavorato per diverso tempo in un ufficio stampa e che si è poi distinto per aver pubblicato tre raccolte di racconti, tanto che è ormai un intellettuale stimato e riconosciuto all’interno del mondo editoriale.
Mario vive a Padova ed è fidanzato con Viola, una donna di poco più giovane, i due hanno in programma di sposarsi e di costruire una famiglia. Ma questa è solo una delle vite del protagonista.
Mario tempo prima era sentimentalmente legato ad un’altra donna, Bianca, con la quale ha vissuto una storia d’amore tormentata, visto che i due si sono presi e lasciati moltissime volte, anzi, è più corretto dire che Bianca lo ha preso e lasciato moltissime volte. Poco dopo la rottura, per così dire, definitiva, Bianca rivela a Mario di essere incinta e darà alla luce una bambina: Agnese.
Non si sa se il padre sia Mario, è probabile che lo sia, ma non ce n’è la certezza, in ogni caso Bianca non lo vuole nella propria vita e decide di lasciarlo, salvo poi rispuntare ciclicamente a distanza di anni, nel momento del bisogno. Mario è disposto sempre ad accontentarla, ad assecondare le sue richieste, perché non ha mai chiuso definitivamente con lei, dentro di sé si sente ancora legato a Bianca e ad Agnese.
Viola non sa nulla: ignora l’esistenza sia di Bianca che della “forse” figlia Agnese, ma non è finita qui. Alle due vite di Mario (la vita con Bianca e la vita con Viola) se ne aggiunge una terza: Mario è infatti legato ad un giovane ragazzo, Santiago, bellissimo e affascinante, che esercita su di lui un controllo totale e lo costringe ad assecondare le sue perversioni sessuali.
Come se ciò non bastasse, anche Viola, la fidanzata ufficiale di Mario, ha una vita segreta, una seconda vita, che Mario probabilmente intuisce, ma di cui finge di non sapere nulla.
La trama del romanzo è tutta qui, non c’è una vera e propria storia, un’evoluzione a partire da una situazione di partenza, per poi arrivare ad un punto di arrivo. Viene dipinto un quadro, che dà forma alla rete di rapporti e di relazioni di cui Mario è il nodo centrale, ma questa rete immobile, statica.
Mario non è un personaggio che cambia, che fa un percorso di crescita, che alla fine compie una scelta, o che risolve le sue contraddizioni, anzi, più volte sembra che possa fare questo salto di qualità, che la vita gli offra delle opportunità in questo senso, ma il cambiamento non avviene mai. Contraddizioni e brutture possono tranquillamente convivere con la quotidianità più banale senza che si avverta la necessità di risolvere il contrasto tra le due dimensioni.
In parte è proprio da qui che deriva il titolo del romanzo, Le ripetizioni: dall’idea che l’esistenza sia una somma di situazioni e di incontri che si ripetono ciclicamente. Ma allora cosa muove, cosa tiene insieme un romanzo di 350 pagine?
Sicuramente il modo in cui questo quadro viene dipinto. La narrazione non è lineare, ma si presenta come un insieme di ricordi, che si focalizzano ora sulla storia con Bianca, ora sulla vita con Viola, ora su Santiago, e l’ordine in cui sono presentati gli eventi non è quello cronologico, ma si salta di continuo avanti e indietro. L’impressione iniziale è quella di un grande caos.
Man mano la lettura procede, il quadro si fa più chiaro, ma ci sono comunque delle incongruenze, dei particolari che non tornano, degli elementi che si contraddicono e che cozzano l’uno con l’altro.
Ovviamente si tratta di un effetto voluto, perché uno dei temi più ricorrenti all’interno del romanzo è l’idea secondo cui la vita è caos. Non esiste il destino, ma solo il caso e se in ciò che ci capita ci sembra di intravedere un senso, un filo logico, in realtà siamo noi che, a posteriori cerchiamo di intravedere a tutti i costi un disegno e vogliamo per forza rintracciare delle corrispondenze.
Anche il protagonista fa questo tentativo, non a caso tutti gli eventi più significativi della sua vita sono successi il 17 giugno. Ma il lettore sa che non è così, che è improbabile che sia così e che è invece il personaggio a voler ricondurre tutto a questa data, a voler mettere ordine nel suo caos.
Al di là del disordine che pervade l’intera esistenza, a complicare le cose vi è anche il fatto che i nostri ricordi sono, per definizione, falsificati. La memoria non è un archivio, ma una lente che deforma, perciò il ricordo del passato è, per definizione, racconto, finzione.
Il tema del ricordo – racconto – finzione viene presentato fin dalle primissime pagine, in cui Mario si trova a Firenze, nel giardino di Boboli, e sente l’odore del bosso. L’odore del bosso gli fa ricordare alcuni episodi della sua infanzia, salvo poi scoprire che quello del bosso è un profumo che non ha fatto mai parte della sua infanzia, del suo mondo di bambino, ed è quindi evidente che il legame bosso – infanzia in realtà è il frutto di una distorsione, è un ricordo che è già diventato racconto.
Nel romanzo talvolta accade anche che la stessa scena venga ricordata più volte da Mario e i dettagli, a volte anche qualcosa in più che semplici dettagli, sono diversi e il lettore non sa quale sia la versione giusta. Ma è evidente che non esiste, non c’è una versione giusta.
In generale, una volta che il lettore si rende conto di questo meccanismo, diviene anche consapevole del fatto che quanto è raccontato non è necessariamente vero, ma è indistinguibile il confine tra realtà e finzione.
La stessa cosa vale per le opere d’arte, di qualunque genere esse siano: che si tratti di quadri, di romanzi, di fotografie: ad essere ritratta non è la realtà oggettiva, ciò che viene ritratto, ma la soggettività dell’artista, la verità secondo l’artista.
In effetti sono moltissimi i passaggi in cui l’autore riflette proprio sul processo creativo e sfuma il confine tra letteratura e vita. Non mancano i riferimenti al mondo dell’arte e della letteratura che affrontano questo tema: da Wilde a Borges, da Cervantes e Murakami, ma soprattutto ci sono momenti in cui sembra che l’autore stia parlando del suo romanzo, nel romanzo.
Giusto per fare un esempio, c’è una scena in cui Mario è in treno e sta leggendo proprio un libro di Murakami e dice di apprezzare molto i romanzi lunghi, soprattutto quelli che sono caratterizzati da uno stile ostico e da un impianto complesso, perché quelli sono i libri che lo stimolano di più. In effetti sembra che Mario stia parlando proprio del libro che teniamo tra le mani: un libro complesso, che all’inizio, soprattutto nei primi capitoli, è caratterizzato da uno stile ostico e che ha una struttura complessa, volutamente confusionaria.
Senza contare il fatto che l’autore è Padovano, come Mario, che Giulio Mozzi è nato il 17 giugno (la data che ricorre continuamente nel romanzo) che anche Mozzi è autore di racconti… insomma un romanzo che parla anche un po’ di se stesso, che sfuma il confine tra vita e letteratura.
Per quanto riguarda lo stile, questo varia molto: i primi capitoli sono caratterizzati da periodi lunghi, complessi, con un sacco di subordinate e di incisi. Ma vi sono anche capitoli fatti esclusivamente di frasi brevi, spezzate, l’una dietro l’altra, alcuni capitoli invece hanno un tono colloquiale. In generale quindi la prosa di Mozzi varia, a seconda del contenuto e dell’effetto che in quel determinato capitolo l’autore vuole ottenere.
Ora veniamo alle mie considerazioni personali. Da un lato è innegabile il valore letterario di questo romanzo: un testo in cui Mozzi ha voluto concentrare tutti i temi più cari alla letteratura contemporanea: la coesistenza di male e bene, quotidianità ed orrore; la vittoria del caos e del caso sul destino; la dimensione soggettiva come unica chiave di lettura del reale possibile; il rapporto tra realtà e finzione, tra arte e vita.
Tuttavia l’autore ha secondo me esagerato: Le ripetizioni si presenta come un romanzo introspettivo, ma il patologico, il morboso, l’assurdo prendono il sopravvento e, leggendo, non si può che provare un profondo senso di disagio. Tradotto in parole semplici: sono tante, troppe le scene di sesso violento e depravato all’interno del romanzo, alcune delle quali così stomachevoli che avrei preferito non leggerle.
Il disagio che ne deriva non è un disagio buono, che fa pensare, che ti centrifuga ma poi ti lascia qualcosa, no. Sembra che l’autore si sia autocompiaciuto nel raccontarcele nei dettagli, per creare chissà quale effetto straniante, ma che ne consegue solo il desiderio di finire il libro in fretta, o per lo meno a me, è successo così.
Purtroppo il romanzo ne risulta molto appesantito, perché certe dinamiche e situazioni, una volta dette, una volta chiare, non c’è bisogno di ripeterle. Va bene che il romanzo si intitola Le ripetizioni, però alludere, dire ma non dire, avrebbe reso tutto meno fastidioso e forse anche più credibile.
Anche il finale (il lettore se lo aspetta, se lo immagina, perché viene annunciato a tre quarti di libro) era proprio così necessario? Quando sono arrivata alle ultime pagine, me le sono lette d’un fiato, non perché fossero avvincenti, ma perché francamente, via il dente, via il dolore…
In altre parole, far arrivare gli stessi concetti e per accompagnare il lettore verso la meta, sarebbe bastato molto, ma molto meno, perché in questo modo il romanzo, anziché restituire un mondo interiore tridimensionale e complesso, ottiene esattamente l’effetto contrario. Ovviamente si tratta di un’opinione che ha molto a che fare con la mia sensibilità, del resto basta guardarsi intorno per leggere recensioni entusiastiche di questo romanzo,
In conclusione: Le ripetizioni è un romanzo complesso, concettuale, di cui riconosco il valore, ma, per quanto mi riguarda, il gioco non vale la candela.
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