Titolo: L’apprendista
Autore: Gian Mario Villalta
Prima edizione: 2020
Lingua originale: Italiano
Casa editrice: SEM
Pagine: 228
ISBN: 978-88-93-90240-3
Prezzo: 17,00
Valutazione: 2,5/5
Buongiorno lettori!
Oggi finalmente vi parlo della mia sesta tappa dei libri candidati al Premio Strega 2020, si tratta dell’ultimo romanzo di Gian Mario Villalta, L’apprendista.
Tutto il romanzo, dal primo all’ultimo capitolo, è ambientato dentro la chiesa di un piccolo paese del Nord-Est e gli unici due personaggi che compaiono sulla scena sono Fredi e Tilio. Fredi è l’anziano sacrestano della chiesa, Tilio, di poco più giovane, è il suo aiutante, il suo apprendista (come lui stesso ama definirsi verso la fine del romanzo).
Il romanzo copre lo spazio di qualche mese; dalla primavera all’autunno, passando per una calda estate. I due protagonisti, tra una messa e l’altra, tra una pulizia e l’altra, trascorrono il loro tempo in sacrestia: le gambe avvolte in una coperta per difendersi dal freddo, nel termos il caffè corretto con la vodka, sempre pronto per essere sorseggiato.
L’apprendista è un romanzo esclusivamente “riflessivo”: la trama è pressoché inesistente ed è riducibile a due dimensioni: la dimensione dei pensieri e delle riflessioni interiori di Fredi e Tilio e la dimensione dei dialoghi tra i due. Attraverso queste due dimensioni il lettore assiste alla nascita dell’amicizia tra i due protagonisti, amicizia che si fa sempre più profonda, man mano si prosegue con la lettura.
Gian Mario Villalta dà vita ad un romanzo che sicuramente vuole essere innovativo, a partire dai due protagonisti, i due sacrestani. Il fatto che gli unici personaggi siano due anziani signori è sicuramente un elemento insolito. Ciò fa sì che la narrazione abbia un andamento ciclico: ogni giornata scorre uguale alla precedente, le stesse occupazioni, gli stessi gesti, insomma una quotidianità rituale e abitudinaria, tipica di chi è anziano. Anche l’alternarsi delle stagioni contribuisce a creare questo effetto.
In secondo luogo la prospettiva che prevale all’interno del romanzo è quella del passato. La storia non corre avanti, non si proietta verso il futuro, ma attraverso le riflessioni e i dialoghi tra i due, pagina dopo pagina, capitolo dopo capitolo, il lettore viene a conoscenza del passato di Tilio e Fredi, un passato fatto di luci e ombre, di segreti e di questioni irrisolte.
Anche la narrazione è condotta in maniera insolita: la storia è narrata in terza persona, ma il narratore si focalizza ora su Fredi, ora su Tilio, riportando discorsi indiretti liberi e flussi di coscienza ora dell’uno, ora dell’altro personaggio. Molto spesso inoltre ricostruiamo l’immagine e la storia di Fredi attraverso lo sguardo di Tilio e, viceversa, il ritratto di Tilio prende forma attraverso lo sguardo di Fredi.
L’obiettivo del romanzo è sicuramente quello di portare il lettore a riflettere, insieme ai due sacrestani, su alcune tematiche di carattere esistenziale: il rapporto padri-figli, la critica della società che giudica e rimprovera in modo ipocrita, la necessità di trovare una forma di religiosità più spontanea, genuina (la letizia nel cuore). E ancora, che senso ha la vita? Che senso ha l’amore e che sembianze assume? Dio esiste? E se esiste qual è la natura della sua relazione con l’uomo? Cosa vuol dire essere felici?
Al di là delle buone intenzioni dell’autore, personalmente ho davvero faticato a portare a termine questo libro, perché (senza girarci troppo intorno) l’ho trovato noioso. Ovviamente, non ci si stanca mai di ripeterlo, si tratta di un’opinione personale, opinione che ora proverò a motivare.
Innanzitutto, appena lette le prime pagine sono stata presa dal panico. I primi capitoli sono letteralmente indecifrabili: ancora non si conoscono i personaggi, ancora non si sa che i discorsi indiretti liberi e i flussi di coscienza si riferiscono a due personaggi distinti, quindi sulle prime non si capisce chi pensi cosa, o chi dica cosa. Ho pensato seriamente di abbandonare il libro immediatamente e mi sono detta: “duecento pagine scritte così non posso reggerle”.
Tuttavia ho tenuto duro e non mi sono data per vinta. Procedendo di capitolo in capitolo, tutto si fa più chiaro, perché si familiarizza con i due personaggi e si impara a distinguerli, ma la narrazione non si fa mai coinvolgente. Ben venga la sperimentazione di tecniche narrative nuove, ma personalmente ho trovato questa doppia (e a tratti confusa) prospettiva narrativa artificiosa e poco comunicativa.
In secondo luogo l‘ambientazione non contribuisce a vivacizzare il romanzo. Tutto si svolge in chiesa, o nella sacrestia della chiesa: ambienti bui, cupi, che, a lungo andare, rendono il tutto un po’ “claustrofobico”.
A ciò si aggiunge il fatto che L’apprendista, come ho scritto poco fa, è un romanzo “retrospettivo” che ricostruisce il passato. Le storie dei due protagonisti si scoprono e si spiegano piano piano, come se si mettessero al loro posto, l’uno dopo l’altro, i pezzi di un puzzle. Tuttavia, per quanto le storie di Fredi e Tilio siano interessanti e curiose, a mio avviso non sono raccontate in modo abbastanza vivido, bensì con tinte piuttosto smorzate.
Anche le pagine più dense del romanzo, quelle in cui si dà spazio alla riflessione e alla critica della società sono piuttosto “spente”, si danno molti spunti interessanti, che stentano però ad accendersi, ad infuocarsi. A tutto ciò si aggiunge, come ho scritto prima, la ripetitività dei gesti e delle azioni dei due amici che, ancora una volta, toglie energia e slancio alla narrazione.
Insomma, un romanzo che mi ha messo a dura prova e che, se non mi fossi presa l’impegno di parlarvi qui sul blog di tutti i 12 candidati allo Strega con cognizione di causa, probabilmente non avrei portato a termine.
Fatemi sapere cosa ne pensate, se anche voi avete letto L’appredista! Come sempre vi do appuntamento alla prossima recensione e vi auguro buone letture!
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