Titolo: Febbre
Autore: Jonathan Bazzi
Prima edizione: 2019
Lingua originale: Italiano
Casa editrice: Fandango Libri
Pagine: 336
ISBN: 978-88-6044-606-0
Prezzo: 18,50
Valutazione: 4/5
Per la quarta tappa di questa maratona di lettura interamente dedicata al Premio Strega 2020, ho deciso di leggere Febbre di Jonathan Bazzi, un altro memoir, dopo Tutto chiede salvezza di Daniele Mencarelli. A scrivere in prima persona e a ripercorrere la sua storia è infatti l’autore, che ci racconta come l’11 gennaio del 2016 (all’epoca non aveva ancora 31 anni) la sua vita sia radicalmente cambiata.
Tre anni fa mi è venuta la febbre e non è più andata via.
11 gennaio 2016.
Jonathan da quel giorno ha la febbre, una febbre bassa, ma costante, che di giorno lo fa tremare di freddo e di notte lo copre di sudore. Una febbre che lo sfinisce e che gli rende pesante fare tutto ciò che prima rappresentava la sua routine quotidiana: alzarsi dal letto, prendere il tram, insegnare yoga… Una febbre di cui non si conosce la causa.
Il medico fa la sua diagnosi: mononucleosi. Tuttavia la febbre non passa, sembra abbassarsi, affievolirsi, ma poi immancabilmente ricompare. Jonathan quindi chiede aiuto a google, cerca di scoprire da solo le ragioni di quello che gli sta succedendo e, un click dopo l’altro, arriva a convincersi di essere malato di tumore e di avere i giorni contati.
Finché, a qualche settimana dalla comparsa di questa febbre misteriosa, arriva l’esito del test dell’HIV: Jonathan è sieropositivo. Una scoperta, quella della sieropositività, che andrà metabolizzata e che rappresenta inevitabilmente uno spartiacque, c’è un prima e c’è un dopo.
Cosa ha spinto l’autore a scrivere la sua storia e a rivelare un fatto così personale?
Premessa necessaria: Jonathan ha fatto coming-out quasi subito, ha dichiarato pubblicamente di essere sieropositivo il 1 dicembre del 2016, neppure un anno dopo la diagnosi.
Il bisogno di fare coming-out (lo ha dichiarato Jonathan in molte delle interviste rilasciate in occasione della pubblicazione del libro) ha rappresentato il modo migliore per proteggersi dal pettegolezzo, dai commenti sussurrati alle sue spalle, dalle voci che inevitabilmente sarebbero passate di bocca in bocca, senza che lui potesse farci nulla. Rivelare a tutti di avere contratto il virus è stata una libera scelta dell’autore, è dipesa da lui soltanto e, anche se a noi può sembrare paradossale, lo ha protetto e reso padrone della situazione.
Davanti al pregiudizio alzare la posta: meglio tacere? Lo sapranno anche i muri.
Tornando alle ragioni che hanno spinto Jonathan a raccontare di sé, vi è innanzitutto la necessità di accendere un riflettore su ciò che al giorno d’oggi significa essere sieropositivi, con l’obiettivo di sfatare tutti quei luoghi comuni sull’HIV, ancora legati agli anni Ottanta e Novanta. Jonathan ci spiega infatti, attraverso le pagine del suo libro, come con il virus oggi si possa convivere, quale percorso terapeutico debba intraprendere un malato di HIV e quali siano le prospettive future per quanto riguarda le ricerche relative allo sviluppo di nuovi farmaci.
Febbre è quindi un romanzo che parla di HIV, ma non solo. Febbre è anche molto altro. La febbre che dà il titolo al romanzo non è che il punto di partenza di un percorso di indagine e di ricerca che l’autore fa su se stesso e sulla propria storia, un percorso che lo porta a mettersi a nudo e ad indagare sia il suo passato che il suo presente.
Il romanzo quindi alterna capitoli che si focalizzano ora sul Jonathan del 2016, alle prese con la scoperta del virus dell’HIV, e ora sul Jonathan del passato, che ripercorre i momenti salienti della sua infanzia e adolescenza a Rozzano.
Così, proprio nei capitoli che si focalizzano sul passato dell’autore, emergono moltissime tematiche, che offrono altrettanti spunti di riflessione.
Innanzitutto si dà ampio spazio alla descrizione del contesto in cui Jonathan nasce e cresce, vale a dire Rozzano, un paese fuori Milano in cui convivono povertà (sia economica che culturale), immigrazione e microcriminalità. Un luogo che all’autore sta stretto, da cui vorrebbe scappare, ma che rappresenta, volente o nolente le sue origini, il suo punto di partenza.
Rozzano è la mia carta d’identità fatta di strade e palazzi, la rappresentazione materiale della mia paura di essere scoperto e giudicato in quanto poveraccio, figlio di poveracci, di operai che non hanno studiato.
L’autore ci descrive anche l’universo complicato della sua famiglia: Jonathan è figlio di due genitori giovanissimi, la sua vita, già da bambino, è scossa dalle loro liti e dalla loro separazione. Cresce (per un periodo) con i nonni del Sud, poi torna con la madre e il suo nuovo compagno.
La descrizione dei suoi vissuti familiari lo porta a toccare il problema della violenza domestica e, in generale, delle discriminazioni di genere di cui Jonathan è testimone, sia quando vive con la madre, sia quando si trova a casa dei nonni.
Proseguendo la lettura, Febbre ci parla anche di adolescenza, del conflitto genitori-figli tipico di quest’età, parla di bullismo, dell’impossibilità di sentirsi parte del gruppo e della scoperta della sessualità.
Per quanto riguarda i capitoli che invece seguono il “binario” del presente, l’autore racconta anche come, apparentemente, abbia reagito bene alla notizia di avere contratto l’HIV, ma abbia poi sviluppato una forma d’ansia inconsapevole che lo porta all’ipocondria e alla depressione, il che ci fa riflettere su quanto spesso sia difficile riconoscere la necessità di intraprendere un percorso di supporto psicologico.
Il romanzo è caratterizzato da uno stile che è quello tipico della narrativa contemporanea “giovane”: una prosa secca, spezzata, spesso colloquiale. Personalmente ho apprezzato molto lo stile di Bazzi, che secondo me risponde perfettamente all’urgenza comunicativa che trasuda dalle pagine di tutto il libro.
Febbre mi è piaciuto molto. Chi si aspettava un libro esclusivamente focalizzato sull’HIV ne è rimasto deluso, dal momento che metà dei capitoli si focalizzano su altro. Io invece ho apprezzato proprio il fatto che il romanzo non fosse “monocorde”, ma al contrario ricco di tematiche forti.
Un romanzo che (perché no?) mi piacerebbe portare in classe, per discuterne con i miei fanciulli, chissà che forse, proprio per il suo stile così immediato e contemporaneo e per i temi caldi affrontati, possa attrarre anche chi non ha molta familiarità con i libri.
Consigliato!
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