Titolo: Città sommersa
Autore: Marta Barone
Prima edizione: 2020
Lingua originale: Italiano
Casa editrice: Bompiani
Pagine: 296
ISBN: 978-88-452-9942-1
Prezzo: 18,00
Valutazione: 4/5
Buongiorno lettori!
Il Premio Strega 2020 è stato assegnato la settimana scorsa a Sandro Veronesi, autore de Il colibrì, edito La nave di Teseo, ma ancora non abbiamo concluso, qui sul blog, il nostro viaggio attraverso alla conoscenza dei 12 candidati di quest’anno.
Oggi è la volta di Città sommersa di Marta Barone, uscito all’inizio del 2020 per i tipi di Bompiani. Un esordio letterario davvero interessante, tanto che ero convinta che questo romanzo sarebbe arrivato tra i cinque finalisti, invece…
Città sommersa è un autofiction, dal momento che prende le mosse da quella che è l’esperienza personale dell’autrice.
Marta ha perso il padre all’età di 24 anni. Tra i due non si è mai creato un rapporto confidenziale o affettuoso, anzi, l’autrice non si è mai sentita particolarmente legata a lui e ha sempre provato una certa insofferenza per alcuni aspetti del suo carattere e della sua personalità.
Un giorno la madre mostra a Marta le carte di un processo tenutosi alla fine degli anni ’70 e che vedeva Leonardo Barone accusato di partecipazione a banda armata. L’autrice già sapeva del processo, pur non avendo mai approfondito la questione, e sapeva anche che il padre era stato assolto da tutte le accuse.
Il Barone. Ma chi era, questo personaggio sconosciuto che mi giungeva dalle brume del burocratese con quel burocraticissimo articolo davanti?
Tuttavia leggere quei documenti ed entrare in contatto con una fase della vita di Leonardo precedente a quella in cui lei lo aveva conosciuto, innesca il desiderio di saperne di più e di approfondire cosa, o chi era stato Leonardo Barone prima della sua nascita.
E’ difficile spiegare quanto fossero stupefacenti quelle parole […] Erano parole di un universo alieno, parole da documentario in seconda serata con musica fosca sui titoli di coda, o da nota a piè di pagina in uno dei saggi di storia politica che leggevo tanto spesso anni prima; non appartenevano alla mia vita e soprattutto – soprattutto – era inverosimile accostarle all’uomo che conoscevo.
Il libro è suddiviso in tre sezioni. La prima, più intimistica, descrive come Marta è arrivata alla decisione di ricostruire e di scrivere la storia di suo padre. La seconda, più apparentemente distaccata e cronachistica, descrive il passato di Leonardo Barone, dal suo arrivo a Torino nei primi anni ’70, e ricostruisce, per quanto possibile, i particolari della sua militanza tra le fila di Servire il popolo. La terza cerca di dare senso alla ricerca dell’autrice, è un atto di riappacificazione, tra passato, presente e futuro.
Città sommersa non è un romanzo facilissimo. Pur essendo ambientato negli anni ’70, tra le sue pagine non troviamo i grandi protagonisti, i grandi nomi di quel periodo storico. In primo piano non troviamo la macrostoria e gli eventi che tutti conosciamo e che avrebbero rassicurato il lettore, convinto di avere tra le mani un romanzo sugli anni di piombo, ma la microstoria, la storia fatta da personaggi poco noti che, legati in qualche modo a Leonardo, si muovono in una Torino agitata dalla lotta politica.
Si tratta quindi di un romanzo che scende molto nel dettaglio e che si concentra su movimenti e partiti di cui, personalmente, mai avevo sentito parlare. In primis Servire il popolo, di cui il padre di Marta ha fatto parte per molti anni. Si tratta del Partito Comunista (Marxista-Leninista) Italiano, un movimento che imponeva ai membri una disciplina particolarmente rigida, anche nella vita privata, che chiedeva agli iscritti un’offerta di parte del loro reddito e che vagheggiava l’avvento della rivoluzione proletaria.
Io ho apprezzato molto quest’impostazione, perché ha acceso molto la mia curiosità, facendomi conoscere cose nuove.
Tematica centrale all’interno del romanzo è sicuramente quella della problematicità della memoria. Nel momento in cui l’autrice decide di ricostruire la storia del padre, contatta tutte le persone che lo avevano frequentato in quegli anni e le incontra, spesso davanti ad una tazza di caffè, per raccogliere le informazioni che le sono necessarie.
Marta è consapevole del fatto che quanto racconteranno quelle persone sarà solo la loro versione dei fatti: la nostra memoria non è affidabile, perché non è un archivio che ci dà accesso gli aventi del passato, così come si sono verificati, ma è uno specchio che, più passa il tempo, più deforma i fatti, distorcendoli, censurando, aggiungendo, mescolando dettagli.
La tematica della problematicità della memoria emerge anche nei momenti in cui Marta si rende conto di aver camminato per anni in una Torino che non conserva traccia dei fatti violenti e drammatici che hanno l’anno scossa qualche decennio fa. Torino quindi è la sua città, la sua casa, un luogo familiare di cui conosce anche gli angoli più nascosti. Ma allo stesso tempo è anche un luogo sconosciuto, estraneo, che nasconde un passato di cui è stata invece la principale testimone.
La stessa sensazione di estraneità Marta la prova anche nei confronti dello stesso Leonardo Barone. Mentre le sue ricerche proseguono, emergono dettagli della vita e della personalità del padre che le erano sconosciuti.
L’autrice che pensava di conoscere il padre a 360 gradi, si rende conto di sapere poco di lui, tanto che, nella sua mente, Leonardo Barone si sdoppia: c’è l’uomo che le ha fatto da padre e che ha fatto parte della sua vita; e c’è il ritratto dello stesso uomo che è emerso dalle sue ricerche e dalle testimonianze di chi lo ha conosciuto in gioventù.
Pur non assumendo mai i tratti di un vero e proprio personaggio, il Leonardo Barone degli anni ’70 di fatto è come se lo fosse, perché non esisteva prima che la figlia ne ricostruisse i tratti, attraverso il romanzo che teniamo tra le mani.
Avrei voluto che questa storia me la raccontasse lui. Avrei voluto avere il tempo di sentirla. Ma in un certo senso sono consapevole che il libro esiste perché non c’è più l’uomo.
Per quanto riguarda lo stile, Marta Barone scrive in modo limpido, algido, contrariamente a quanto ci si potrebbe aspettare, visto il tema di questo romanzo. L’autrice tiene sotto stretto controllo la sua emotività, spesso incasellandola tra le parentesi tonde, entro cui si lascia andare a ricordi o pensieri più “intimi”.
Ho apprezzato davvero la lettura di questo libro e spiace davvero che non sia arrivato in cinquina. Mi auguro che questo esordio rappresenti un buon trampolino di lancio per l’autrice di cui spero presto di leggere altro.
Consigliato!
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