Titolo: Breve storia del mio silenzio
Autore: Giuseppe Lupo
Prima edizione: 2019
Lingua originale: Italiano
Casa editrice: Marsilio
Pagine: 205
ISBN: 978-88-297-0253-4
Prezzo: 16,00
Valutazione: 3/5
Buongiorno lettori!
Oggi, il giorno che precede l’annuncio della Cinquina, torniamo a parlare di Premio strega, con Breve storia del mio silenzio di Giuseppe Lupo.
Anche questo romanzo è un’autofiction, in quanto l’autore ci racconta in prima persona la sua storia (una dozzina, quella dello Strega 2020 che non si è rivelata molto “varia” da questo punto di vista).
Tutto comincia con l’arrivo di “sorellina”: l’autore all’epoca aveva quattro anni e nel momento in cui vede tra le braccia della madre il fagottino che avvolge sua sorella appena nata, Giuseppe smette di parlare, comincia il silenzio.
Il principio tutto era verbo: poesie, quaderni, libri, banchi, lavagne e alunni in abiti di carta crespa. Poi sopraggiunse il silenzio.
Per alcuni mesi Giuseppe non riesce a parlare, quella della parola detta sarà per lui una lenta e faticosa conquista. Fondamentale in questo frangente è il ruolo dei genitori, entrambi maestri di scuola elementare, entrambi uomini di grande cultura. Là dove i consigli dei medici falliscono, subentrano le cure della mamma di Giuseppe, che gli consiglia di ascoltare e di seguire il ritmo della pioggia, per ritrovare il coraggio di lasciar uscire la voce.
Altro tipo di rapporto è quello che l’autore instaura invece con la parola scritta, un rapporto fin da subito privilegiato. Giuseppe cresce nello studio del padre, dove le pile di libri arrivano fino al soffitto. L’autore ha anche, fin dalla più tenera infanzia, la possibilità di incontrare intellettuali, artisti, giornalisti, editori, legati al circolo culturale “La Torre” che il padre aveva creato ad Atella.
Inoltre dall’adolescenza Giuseppe è solito annotare pensieri, parole, immagini, citazioni, su dei foglietti di carta, rilegati con ago e filo dalla madre. Insomma, fin da bambino, l’autore trova nella parola scritta il suo modo di comunicare. Simboli di questo legame viscerale con la parola scritta sono una penna stilografica e una macchina da scrivere, entrambi appartenuti al padre, entrambi emblemi della sua vocazione di scrittore.
Scrivere con la Parker 51 grattava via non la ruggine, ma il ricordo che mi rimaneva, tant’è che me la sarei portata dietro, partendo per Milano. Mio padre l’ha messa in bella vista perché io gliela rubassi, avrei pensato prima di andare via, mi sta indicando quel che devo fare. E così è avvenuto.
Giuseppe ci racconta quindi il suo percorso, da quei mesi di silenzio alla pubblicazione del suo primo libro, ma Breve storia del mio silenzio è un romanzo che vuole delineare un percorso di crescita non solo intellettuale, ma anche umano, la cui tappa fondamentale è rappresentata dal distacco dell’autore dalla sua terra, la Lucania, e l’arrivo a Milano, la città moderna per eccellenza.
Breve storia del mio silenzio è sicuramente un romanzo ben scritto. La prosa di Lupo è scorrevole, ma elegante e densa. A mio avviso si ferma appena appena al di qua del limite della “troppa retorica”. Chi mi legge e/o mi segue da un po’, sa che non amo i libri troppo “infiorettati” e che prediligo, per gusto personale, gli scrittori dallo stile essenziale e tagliente. Lupo, nelle sue pagine, si ferma appena in tempo: cerca uno stile ricercato e poetico, ma senza esagerare.
Di questo romanzo si apprezzano i dettagli, la ricostruzione di scene di vita familiare attraverso suoni e profumi: la poesia sa di liquirizia, la cultura sa del fumo delle sigarette che gli intellettuali del circolo “La torre” fumavano senza sosta, l’infanzia sa del Vicks che la mamma spalmava sul petto dei suoi figli al primo sintomo di influenza, l’adolescenza ha l’odore del Prep, Milano sa di pioggia e dei tram che corrono sui binari…
A Breve storia del mio silenzio però manca qualcosa. Ne ho apprezzato i dettagli e la bellezza di alcune singole pagine, sottolineando tante bellissime frasi, ma è un romanzo che nel suo insieme non è riuscito a coinvolgermi. La narrazione è forse troppo lenta, poco ritmata, ci si aspetta sempre che ad un certo punto la scrittura “decolli”, si faccia più viva, più graffiante e ci trascini, ma ciò non accade mai.
Da un certo punto di vista questo romanzo mi ha ricordato Ragazzo italiano di Ferrari. Sebbene Ragazzo italiano non sia un’autobiografia, molti sono gli elementi comuni: lo stile ricercato, il tono pacato e descrittivo, la tematica del riscatto sociale, la centralità della scrittura e della letteratura, Milano che fa da sfondo. Ma la scrittura di Ferrari (che pure non mi ha convinta del tutto) per lo meno è più viva e dinamica
In definitiva, per quanto mi riguarda, Breve storia del mio silenzio è un romanzo poco riuscito: le premesse c’erano, la scrittura è notevole, ma nell’insieme non si centra l’obiettivo. Un libro che ho terminato a fatica, contando le pagine che mancavano alla fine.
Peccato.
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