Titolo: Almarina
Autore: Valeria Parrella
Prima edizione: 2019
Lingua originale: Italiano
Casa editrice: Einaudi
Pagine: 136
ISBN: 978-88-06-23061-6
Prezzo: 17,00
Valutazione: 2/5
Ciao a tutti lettori!
Eccoci alla quinta delle dodici recensioni relative ai candidati al Premio Strega 2020! Questa è la volta di Almarina di Valeria Parrella. Autrice di racconti e di lavori teatrali, la Parrella pubblica il suo primo romanzo, Lo spazio bianco, nel 2008. Almarina è il suo sesto romanzo, pubblicato nel 2019 per Einaudi.
Premetto che non avevo mai letto nulla di questa autrice e, ve lo dico subito, Almarina per me è un “no” bello deciso. Di certo questa prima esperienza di lettura con l’autrice non ha di certo suscitato in me la voglia di andare a recuperare qualcun altro dei suoi romanzi, ma vorrei capire se si tratta di un solo romanzo malriuscito tra quelli pubblicati, o se le caratteristiche che ho riscontrato qui, si ripresentano anche negli altri romanzi. Mi appello a voi lettori…
Ma andiamo con ordine. Ho preso tra le mani questo (brevissimo) romanzo carica di interesse, dal momento che affronta una tematica, quella dell’insegnamento e della relazione studente-docente, che mi chiama in causa direttamente, dal momento che io stessa faccio l’insegnante.
A parlare in prima persona è Elisabetta Maiorano, un’insegnante di matematica di cinquant’anni, che tre anni prima è rimasta vedova del marito. Elisabetta vive a Napoli, ma non insegna in una scuola qualunque: lavora nel carcere minorile di Nisida dove, giorno dopo giorno, entra in contatto con ragazze e ragazzi dal vissuto difficile e che, con tutta probabilità, una volta usciti da lì, faranno ritorno a quelle case e a quelle strade che li hanno portati in carcere.
Tra loro c’é Almarina, una ragazza Rumena appena arrivata a Nisida, scappata dal suo paese e dalla sua famiglia con il fratellino che le è stato strappato, subito dopo l’arrivo in Italia. Il suo passato è pieno di ombre e il suo futuro incerto.
Tra Elisabetta e Almarina si crea un legame particolare, un legame che segna l’evoluzione delle loro vite e le intreccia indissolubilmente.
Sulla carta, una bella storia che poteva essere interessante e toccante. Nella pratica nulla di tutto ciò. Proverò a spiegarvi perché.
L’impressione è che l’autrice abbia del tutto sacrificato l’obiettivo di raccontare una storia e di dare forma ai sentimenti, alle emozioni, alle riflessioni dei personaggi, in funzione dello stile. Almarina sembra un mero esercizio di stile.
Innanzitutto la lettura è resa faticosa dai continui salti temporali, tra passato e presente all’interno della stessa pagina. Non solo: anche all’interno delle singole frasi troviamo mescolati pensieri distanti, che non c’entrano nulla l’uno con l’altro, senza soluzione di continuità.
Questi salti e cambi di prospettiva sono così frequenti, repentini e (spesso) incomprensibili che, anziché stupire il lettore e approfondire un concetto o un sentimento, gli fanno perdere completamente la bussola. Viene il dubbio che l’autrice si sia compiaciuta nel dare vita ad una scrittura così centrifuga e nello scrivere pagine volutamente frammentate, la cui frammentarietà però resta fine a se stessa.
Anche il lessico utilizzato mi ha trasmesso la stessa sensazione: è evidente che l’autrice ha soppesato e scelto attentamente ogni parola di ogni riga. Ciò che ne risulta è un prosa che è sì elegante, ma allo stesso tempo artificiale. Tutto vorrebbe essere estremamente poetico, ma purtroppo senza riuscirci.
Il risultato è, secondo la mia opinione, un romanzo che sa di artificioso e di costruito.
Inoltre, tanta è stata la cura riservata allo stile, che a livello di contenuti invece alcuni elementi mi sono sembrati superficiali, o addirittura stereotipati.
Per esempio, cosa di Almarina colpisce così tanto Elisabetta? Dal momento che la protagonista lavora in un carcere, immagino che quella non sia stata la prima, né l’ultima ragazza con un passato difficile con cui è entrata in contatto. Perché proprio Almarina? Non ci è dato saperlo. Anche l’evoluzione della loro relazione è trattata in maniera superficiale, quando invece mi sarei aspettata un maggiore scavo psicologico delle due protagoniste.
Per non parlare della rappresentazione delle guardie carcerarie, per cui Elisabetta prova un’antipatia a pelle. La stessa cosa vale per il direttore del carcere, una figura abbozzata con tinte fosche, senza che ci sia una reale motivazione dietro. Ho trovato che queste figure siano state rappresentante in modo semplicistico e, appunto, stereotipato: quanto è trita e ritrita la figura del direttore del carcere “cattivo” e burocrate?
Si salvano le pagine che, verso la fine, portano la vicenda verso la conclusione e recuperano un po’ della vena narrativa che è mancata in tutto il resto del romanzo. Ma per me non basta.
Insomma, un romanzo che mi ha lasciato un bel po’ di amaro in bocca. Mi piacerebbe poter dare un’altra possibilità all’autrice, ma non credo lo farò molto presto.
Vista la recensione piuttosto accesa, vi invito a dirmi la vostra: avete letto Almarina? Qualcuno di voi lo ha apprezzato più di me? Se avete letto altro della Parrella, cosa consigliate?
Vi auguro come sempre buone letture!
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